LA DEVOLUZIONE A FERRARA: LA FORTEZZA PONTIFICIA




veduta aerea del quartiere giardino nel secondo dopoguerra, si intravede tutta l area della fortezza pontificia 
Il Rione Giardino sorge a sud-ovest della città, nello spazio delimitato da importanti arterie viarie come Via Darsena a sud, Corso Isonzo ad est, Viale Cavour a nord e Via San Giacomo ad ovest. Quest’area, fino al 1859, era occupata dalla Fortezza Pontificia, che per due secoli e mezzo
fu il simbolo del potere e del dominio della Santa Sede dopo la devoluzione della dinastia estense, che avvenne alla morte del duca Alfonso II, nel 1597. La fortificazione fu voluta da Papa Clemente VIII per difendere la nuova provincia pontificia dai nemici interni e esterni. Infatti tre dei cinque bastioni difensivi erano rivolti verso la città. Per la costruzione della Fortezza, furono rasi al suolo interi quartieri, tra cui l’antico Borgo Superiore nato nel medioevo attorno al Castel Tedaldo, la delizia del Belvedere, e lo stesso Castel Tedaldo. In una trentina d’anni nacque una delle strutture difensive più moderne d’Europa. Al progetto lavorarono i migliori architetti e maestri di ingegneria militare del tempo, che terminarono il lavoro nel 1631 sotto il pontificato di Paolo V. La cittadella militare, ospitava un migliaio di persone tra soldati, ufficiali, maestranze e addetti al vettovagliamento.La vita si svolgeva attorno alla Piazza d’Armi, dove oggi sorgono lo stadio e l’acquedotto comunale, ed era dominata dall’imponente statua in marmo di papa Paolo V.
I bastioni “a punta   di freccia” erano circondati da una larga fossa che, in caso di necessità, poteva essere allagata dalle acque del Po di Volano mediante un sistema di chiuse. Gli accessi al forte erano muniti di ponti levatoi e protetti da rivellini che schermavano il tiro dell’artiglieria nemiche. Dell’intera Fortezza, oggi rimangono solo i due bastioni di S. Paolo e S. Maria.
Pianta della fortezza pontificia 

La fortezza non fu mai amata dai cittadini, in quanto vista come simbolo di arroganza nei confronti del popolo, infatti all’indomani dell’Unità d’Italia, nell’estate del 1859 e con l’arrivo della polvere da sparo da Bologna, vennero demoliti i tre bastioni rivolti verso la città, mentre quelli esterni vennero inglobati nella cerchia muraria. Solo nel 1914 iniziarono i lavori di riqualificazione dell’area della Fortezza. Sui bastioni sopravvissuti alla demolizione di fine Ottocento e alle bombe della seconda guerra mondiale, nel 2002 è stata collocata la statua di Paolo V. Fino alla seconda guerra mondiale la statua si trovava ancora al centro dell’antica Piazza d’Armi, ma se ne persero le tracce dopo i bombardamenti che colpirono Ferrara nell’inverno del 1944. Fu ritrovata nel
1949, durante la costruzione delle nuove strade del quartiere dell’acquedotto a due metri di profondità,interrata a causa dello scoppio di una bomba ma ancora intatta. Oggi si trova al centro dei bastioni della fortezza pontificia a ricordo e memoria del passato.

Paolo V al centro di Piazza D'armi nella ex fortezza 

FERRARA CITTÀ DELLE STELLE: CAMMINANDO NELLA COSTELLAZIONE DI ERCOLE

la costellazione di ercole ricalca perfettamente i monumenti estensi 

Ercole I duca di Ferrara, dopo la morte di Borso (1471) che aveva attuato il buon governo e aveva lasciato i memorabili dipinti di Palazzo Schifanoia,volle imitarlo, e si propose di dare alla città una nuova e grande impronta: un disegno urbano riconoscibile e carico di significati celebrativi della casata Estense. Egli coinvolse nel progetto non solo l’architetto di corte Biagio Rossetti, ma
anche Pellegrino Prisciani, raffinato cultore e docente di astrologia, segretario e confidente del Duca. La ricerca di geometrie legate alle stelle e alla numerologia non era cosa rara, dato il forte interesse nel passato all’alchimia e al ricercare un'armonia con la natura, con le forze celesti, e quindi con Dio.
I progetti si avviarono nel 1484, al termine della Guerra del Sale (1482-84), che vide l'assedio di Ferrara da parte della repubblica di Venezia:
uno degli scopi era anche il rinforzo del sistema difensivo delle mura urbane verso nord. Si ritiene che il contributo del Prisciani sia stato di decisiva importanza: il suo disegno, che gli storici hanno chiamato il “Tipo del Prisciani”, ed è orientato con il sud verso l'alto come era convenzione consolidata a quei tempi, contiene tutto il pensiero e tutta la realtà della nuova grande addizione della città. Rossetti ha “disegnato” l’idea di Prisciani e ha progettato in seguito i punti di forza del grande disegno, cioè i luoghi distinti
e indimenticabili che hanno dato sostanza urbana al progetto della città nuova nel suo complesso. Nel disegno della grande operazione urbana si rivela una sinergia straordinaria fra Prisciani e Rossetti. Il cuore del grande disegno urbanistico è il Quadrivio: oggi è l'incrocio di Corso Ercole I d'Este, asse
Sud-Nord che include e prolunga la congiungente del Castello Estense col Palazzo dei Diamanti fino alla Porta degli Angeli, con l’asse Corso Porta Po - Corso Biagio Rossetti - Corso Porta Mare, chiamate all’epoca via dei Prioni e via degli Equinozi, che corre da Ovest a Est collegando Porta Po e Porta a Mare
presso i bastioni delle mura. In corrispondenza del Quadrivio andrà edificato il Palazzo dei Diamanti, come completamento del Castello Estense: il palazzo sarebbe divenuto la residenza di Sigismondo, fratello di Ercole a cui spettava Il "quadrato astrologico" sovrapposto al Tipo governare il Ducato quando questi era assente. Il Palazzo dei Diamanti ha un ruolo fondamentale nell’addizione: esso, e soprattutto il diamante vero che dovrebbe essere nascosto all'interno del suo perimetro, coincide con il “medium coeli” relativo a Ercole I: in astrologia è questo il punto più alto del cielo rispetto ad un determinato luogo al momento della nascita di un individuo, fondamentale per determinarne il cosiddetto “tema natale”, cioè una rappresentazione dell'immagine sociale, della carriera, dei successi, degli obiettivi, e delle ambizioni di quella persona. Proprio a questa celebrazione del sole di Ercole al suo Zenith avrebbe ispirato Biagio Rossetti nella costruzione della corazza argentea di bugne a forma di diamante da apporre alle pareti del Palazzo, destinate ad essere, per sempre, nell’arco della giornata, contenitori di luce. Il “quadrato astrologico” (lo strumento con cui gli studiosi degli astri elaboravano i temi di natività) nel suo disegno sembra inoltre aver suggerito anche l'andamento delle nuove mura verso nord: la sovrapposizione della figura del quadrato alla La costellazione di Ercole sovrapposta alla pianta della città di Ferrara planimetria della città disegnata da Pellegrino Prisciani rivela come nacque il disegno del tracciato delle mura erculee. Infine, la stessa collocazione degli altri luoghi monumentali della città, esistenti (Castello, Porta Paola, chiesa di S. Marco e S. Domenico, Castel Tedaldo) e da costruire nell’addizione (Palazzo Diamanti, chiese di S. Benedetto, S. Cristoforo, Torrione del Barco, Punta della Montagnola), testimonierebbe l’ispirazione “astrologica” dell’opera urbanistica: la rappresentazione della costellazione di Ercole celebra il governo di Ercole I come specchio del cielo.

L'IMPRONTA CAPRINA DELLA CHIESA DI SAN DOMENICO

L’impronta Caprina 



Nella fiancata della chiesa di San Domenico, (sul parcheggio di Piazza Sacrati) ex ingresso dell’ Oratorio di Santa Croce, un tempo sede del tribunale e delle prigioni dell’inquisizione, c’è una porta dove, sulmarmo dello stipite di destra, è impresso un segno che ricorda un’orma caprina o un artiglio del diavolo. Sarà che questa chiesa era il luogo della Santa Inquisizione che puniva stregoni e eretici, sarà che qui i frati domenicani praticavano riti di esorcismo, sta di fatto che attorno a questo segno, è nata una leggenda. Una volta i terreni del Barco, che si estendevano a Nord ella città, oltre le mura difensive, erano una vasta riserva di caccia degli Estensi, area popolata da una ricca selvaggina, luogo ideale per i duchi e il loro seguito di ospiti e cortigiani. Alla fine del dominio estense, i terreni
del Barco si trasformarono in un rifugio sicuro per briganti e malfattori. Solo in seguito tra le macchie di arbusti si edificarono alcuni casolari, attorno ai quali venivano coltivati orti, grano e erba
medica.L’ isolamento e la solitudine, facevano nascere nei pochi abitanti del luogo strane credenze, alimentate dai suoni notturni e dagli inspiegabili fenomeni della natura. Il vento che sibilava tra i pioppi e scivolava giù per le cappe dei camini, si credeva fosse il lugubre lamento di un misterioso individuo che si aggirava nei paraggi e chiamato da tutti Urlone.
Secondo il racconto popolare, questo misterioso essere, sarebbe giunto a rifugiarsi nel Barco, quando il suo padrone, l’ingegnere idraulico Bartolomeo Chiozzi, noto in città come Mago Chiozzino, si era rivolto ai padri domenicani con l’intento di farsi liberare da un patto che aveva stipulato con il  diavolo.
Era accaduto a metà del 1700, quando, giunto a Ferrara da Mantova per tentare di tenere sotto controllo le piene del Po, frugando nella cantina del palazzo dove abitava, in via Grande 29 (attuale Via Ripagrande) aveva trovato un vecchio manuale di formule magiche. Pronunciandone una ad alta voce, all’improvviso apparve un essere dal corpo sgraziato e dallo sguardo gelido che, con tono cavernoso, disse di chiamarsi Magrino e che essendo stato evocato, si metteva al suo servizio.
Gli interventi dell’Ing. Chiozzi sul fiume Po ebbero successo, ma furono considerati dal popolino schiavo dell’ignoranza e della superstizione il risultato del potere magico, conferitogli da quello strano servitore che sempre lo seguiva. Sua moglie Cecilia, donna pia a devota, addolorata per la triste fama del marito, si recava spesso in chiesa e, dopo tante preghiere e generose offerte,
aveva ottenuto la grazia di convincere il marito a farsi esorcizzare. Lo accompagnò quindi nella chiesa di San Domenico e nel momento in cui stava ricevendo la benedizione liberatoria sopraggiunse il servo fedele Magrino che, nel tentativo di avvicinarsi al padrone, venne sfiorato da alcune gocce di acqua santa. Al contatto con l’acqua benedetta, il ventre si gonfiò a dismisura, gli occhi divennero di fuoco, mentre i piedi divennero di forma caprina. Pazzo di rabbia sferrò un calco sullo stipite della porta, con una tale violenza da lasciare impressa nel marmo l’impronta del piede. Urlando e imprecando prese a correre fino ad arrivare e perdersi nelle terre del Barco.
In questo luogo, continuò a vagare per anni e anni, a spaventare gli abitanti con i suoi lamenti, a manifestarsi e apparendo alle persone, mutando sempre il proprio aspetto.
A volte si presentava come un mendicante, dalla barba lunga e incolta, oppure appariva dal nulla avvolto nel saio di un frate cercatore. In altre occasioni prendeva le sembianze dell’Uomo Silvano, un gigante che si muoveva a passo lento e pesante, agitando una canna in cima alla quale aveva legato un mazzetto di penne di tacchino.
I barcaioli e i mugnai del Po lo accusavano di provocare le piene e gli straripamenti del fiume mentre i contadini gli attribuivano la colpa delle grandinate. Al tramonto, per scongiurare i danni che l’Urlone avrebbe potuto arrecare, avvicinandosi alle case, gli abitanti bruciavano sulle soglie delle porte, foglie di ulivo benedetto e appoggiavano alle pareti gli attrezzi da lavoro disponendoli a forma di croce. Si racconta di una giovane contadina che una mattina percorreva di buon’ora un sentiero tra i campi del Barco, per raggiungere la città con un cesto di un centinaio di uova fresche da vendere al mercato. Camminava spedita nel silenzio della campagna, quando all’improvviso comparve un uomo alto e corpulento che le corse incontro urlando e battendo le mani con forte schiamazzo. Le uova all’improvviso si schiusero e dal cesto della povera donna svolazzarono fuori cento pulcini che in un baleno svanirono nel nulla assieme all’autore della magia.
Terrorizzata dallo spavento e addolorata per il danno subito la poverina tornò a casa con i gusci delle uova rotte e passo passò il resto dei suoi giorni a raccontare quella incredibile vicenda.

 (Tratto da: A Ferrara nei
Luoghi del Mistero di Maria Teresa Mistri Parente Ed. Cartografica).

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LA SANTA INQUISIZIONE A FERRARA TRA MITO E REALTA'


Chiesa di San Domenico sede del tribunale della santa inquisizione 

La chiesa di San Domenico, attualmente chiusa in seguito al sisma del 2012, è tra i maggiori complessi religiosi cittadini. La prima chiesa di San Domenico fu eretta a Ferrara nel 1274, ma fu demolita e ricostruita nello stesso posto nel 1726 dall'architetto Vincenzo Santini, sotto il vescovo Tommaso Ruffo. Oltre ad essere nota per conservare al suo interno uno dei cori lignei più antichi (Giovanni Baisi, 1384) dell’Emilia Romagna, e importanti opere dello Scarsellino, del Bononi, di Giuseppe Avanzi, Giuseppe Zola e Giovanni Battista Cozza, la chiesa è tristemente famosa per essere stata la sede ferrarese del Tribunale della Santa Inquisizione dal 1265 fino all' annessione al Regno D'Italia. Il tribunale fu abolito e ripristinato varie volte nel corso dei secoli, e nei momenti di "massimo splendore" aveva competenze anche nei territori del ducato di Modena e Reggio Emilia. ll processo inquisitorio era considerato un'arma per il mantenimento del controllo sulla popolazione; nel tempo, si giunse a “semplificare” sempre di più il processo stesso, arrivando a considerare sufficienti all'erogazione della pena capitale anche solo due testimonianze di chi avesse “visto” il reato, o la confessione del malcapitato, estortagli con la tortura. Una importante testimonianza la si trova nel "Libro de' giustiziati in Ferrara", un codice miniato del XVI secolo, nel quale sono elencati nomi, cognomi e professioni dei condannati a morte a Ferrara tra il 1441 e il 1577, assieme alla causa e al luogo della condanna; il prezioso manoscritto è custodito presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara. In pieno rinascimento, tra il ducato di Niccolò III (1393-1441) e il governo di Alfonso II, l'ultimo a reggere il ducato di Ferrara fino alla devoluzione del 1597, furono eseguite ben 853 condanne a morte. I reati non erano solo legati a eresie o atti di stregoneria, ma riguardavano anche la sfera civile, come furti e omicidi. L'Inquisizione ferrarese si rivelò magnanima con le donne, infatti le condanne femminili risultano solamente ventidue di cui solo due per stregoneria. Il gentil sesso spesso e volentieri veniva scarcerato dopo aver abiurato. Tutte le esecuzioni si tenevano in pubblico, sul sagrato antistante la facciata della chiesa a monito per il popolo.
Tra i processi condotti a Ferrara dal Tribunale della Santa Inquisizione si ricorda quello al mago Benato, accusato di utilizzare la magia ai danni di Leonello d’Este, marchese di Ferrara (1441-1450): guai a mettersi contro un nobile! Che sia stato un ciarlatano o no, fatto sta che dopo che fu tragicamente consumato dal rogo, sulla città di Ferrara si abbatté un terribile terremoto, che fu interpretato negativamente, come se si fossero adirate le forze degli inferi... non fu fatta alcuna correlazione sul fatto che anche alla morte di Gesù accadde lo stesso fatto...meglio non ammettere di aver commesso lo stesso errore due volte, e quindi è meglio far credere che il terremoto sia stato causa di Lucifero che sbatteva la porta dell'inferno...
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L 'ANGOLO DEI 4S (SIAMO SEMPRE SENZA SOLDI!)


Da sempre  citato nella toponomastica locale, l’angolo (cantòn in ferrarese) dei quattro esse è l’intersezione di quattro vie: corso Martiri della Libertà, corso Cavour, corso della Giovecca e via Borgo dei Leoni; Ma da dove viene questo curioso soprannome?
Ebbene, in questo incrocio, dove si trovavano e si trovano tutt’ora svariati locali e osterie, si radunavano un tempo tutti gli universitari il cui slogan era “Siamo Sempre Senza Soldi!”. Da questa frase si è poi passata alla abbreviazione 4S, prendendo le iniziali delle quattro parole, e che quindi in seguito, negli anni è diventato uso comune darsi appuntamento qui con la mitica frase “Ci troviamo ai 4S!”. Curiosamente, Ferrara non è la sola città dove esista un “cantòn dei quàtro esse”: anche Treviso ne ha uno, proprio davanti a quella Piazza dei Signori celebrata nel famoso film di Pietro Germi “Signore e signori”, e anche l’origine del nome è più o meno la stessa: “Sèmo Studenti Sensa Schéi”.

LE ORIGINI DI FERRARA : DAL CASTRUM BIZANTINO ALLA CORTE ESTENSE


primo nucleo di Ferrara 

Verso la fine del VI secolo un Castrum del sistema difensivo bizantino, voluto dall’esarca di
Ravenna Smaragdo, si insediò sulla riva sinistra di quello che allora era il corso principale del
Po, all’altezza  della biforcazione tra i rami di Volano e di Primaro. Nel 644, il vescovo di origine siriaca San Maurelio (le cui reliquie sono oggi custodite nel Monastero di San Giorgio degli Olivetani a Ferrara) a causa delle continue invasioni barbariche che devastavano la sede vescovile di Ricostruzione ideale dell’antico aspetto della “punta di San Giorgio” - Sec. XVI Voghenza, decise di spostarla da lì al Borgo San Giorgio, situato sulla riva destra del fiume Po che allora scorreva più a sud, proprio in corrispondenza del Castrum bizantino che si trovava sulla riva opposta, a nord. Il borgo costituì il primo insediamento abitato di “Ferrariola”, sull’isola di San Giorgio, mentre il Castrum è stato individuato nella zona di Porta San Pietro: in corrispondenza dell’antico presidio, il perimetro dell'impianto viario odierno disegna un ferro di cavallo.
Il nome “Ferrara” fu ufficialmente impiegato per la prima volta nel 756/7, sia nel Liber Pontificalis della Chiesa Romana che nel Codex Carolinus, in due passi paralleli che si riferiscono allo stesso episodio. Il re longobardo Desiderio aveva promesso a papa Stefano II la restituzione alla Santa Sede di Faenza, Imola, Bagnacavallo, Gavello e del ducatus Ferrariae, e il pontefice ne scrive a Pipino il Breve re dei Franchi (il padre di Carlo Magno), perché gli si renda giustizia da parte dei Longobardi, ma anche dei Bizantini. Se ne ricava che tutte queste civitates, appartenenti originariamente all’Esarcato ravennate, dovevano essere state conquistate tra il 750 e il 751 dal re longobardo Astolfo. Il dominio longobardo fu comunque breve, perché nel 774 Pipino il Breve, sconfitti i Longobardi, donò il “Ducato di Ferrara” a Papa Adriano I. Nel 984 Ferrara divenne feudo di Tedaldo, conte di Modena e Canossa, e nipote dell'imperatore Ottone I. La città mantenne tuttavia un governo liberale, al punto che Matilde di Canossa, nel 1101, dovette ricorrere alle armi per riprenderne il potere. Nel frattempo, Ferrara si era sostanzialmente organizzata in forma di comune, retto da capitani e consoli. In quell’epoca, le famiglie degli Adelardi e dei Torelli, guelfi di origine bulgara gli uni, ghibellini di origine bolognese gli altri, iniziarono a contendersi la supremazia del comune. Nel 1158 l’Imperatore Federico Barbarossa occupò Ferrara, e la mantenne soggiogata fino al 1164, anno in cui Guglielmo II Adelardi (ricordato come fondatore della Cattedrale di Ferrara, nel 1135) sottomise la città alla
Lega Lombarda. Morto Guglielmo nel 1184, assunse il potere sua nipote Marchesella, moglie di Azzo VI, marchese d’Este. Nel frattempo, i Torelli non recederono dalle loro intenzioni: estinti gli Adelardi, cominciarono a contendere il primato agli Este, fino a quando nel 1213, morto Azzo VI, suo figlio Aldobrandino I e Salinguerra Torelli si accordarono per governare la città congiuntamente. L’estense morì appena due anni dopo in circostanze poco chiare (probabilmente avvelenato) e gli successe il fratello, Azzo VII (detto Azzo Novello) di soli 10 anni di età, sotto la tutela della madre Alice d'Antiochia. Nel 1222, la famiglia Torelli, approfittando del momento di debolezza degli Este, che erano impegnati anche contro l’imperatore Federico II nelle campagne militari del nord Italia, riconquistò il potere a Ferrara. Tuttavia, quando nel 1239 Federico II si ritirò sconfitto nel sud Italia, Azzo VII tornò a Ferrara con desiderio di vendetta. Nel 1240 Azzo, alleatosi con Venezia e col Papa Gregorio IX, cinse Ferrara d'assedio e, invitato SalinguerraII Torelli a firmare la pace, lo fece catturare con l’inganno (episodio del “Fondobanchetto”) e trasportare a Venezia dove morì nel 1244.
Da quel momento iniziò il dominio della famiglia d’Este su Ferrara, che ha lasciato tra i segni più tangibili la costruzione del Castello Estense (1385), la realizzazione delle difese a nord della città (1386) e la fondazione dell’Università (1391). Nel 1451, si ebbe un ulteriore ampliamento della città a sud che incluse un tratto dell’alveo fluviale abbandonato. Nel 1492, con Ercole I d’Este, venne commissionato all’architetto Biagio Rossetti un riordino della città, verso il settore di nord-est, la cosiddetta “Addizione Erculea”, che raddoppiò il perimetro delle mura, facendo loro assumere l’attuale forma trapezoidale. Ferrara ebbe il momento di massimo splendore nel periodo rinascimentale, quando assunse quelle caratteristiche che l’avrebbero resa famosa in tutta Europa.
Oggi, Ferrara può vantare un’alta qualità della vita, data da una realtà vivace ricca di splendide mostre d’arte, di una raffinata stagione concertistica e varie manifestazioni sportive e culturali, tra cui la prima kermesse internazionale dei musicisti di strada (Buskers Festival) e il più antico Palio d’Italia.

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ALLA SCOPERTA DELLA FERRARA MEDIOEVALE


Dal Medioevo ad oggi, la zona attorno alla Cattedrale è sempre stata il fulcro della vita cittadina. Sede dei diversi poteri che si sono succeduti, area commerciale e monumentale di primaria importanza, il centro ancora oggi e' il luogo preferito e di ritrovo di ferraresi e visitatori.

Via San Romano

Davanti alla chiesa di San Romano (attuale Museo della Cattedrale) inizia Via San Romano, importante arteria della città medievale. L’antica Via di San Romano costituiva il raccordo principale fra la piazza del mercato (oggi Piazza Trento e Trieste) e il porto fluviale sulle rive del fiume Po. Strada commerciale per vocazione, è l’unica di Ferrara ad essere quasi interamente porticata.

Via San Romano 
Via Vignatagliata - cuore del Ghetto Ebraico

L’origine della comunità ebraica ferrarese è molto antica: la città ha una forte tradizione di convivenza fra le religioni. Molti gruppi di ebrei, cacciati dai paesi d’origine, furono accolti dagli Estensi: Spagnoli (1492), Portoghesi (1498) e Tedeschi (1530), si stabilirono a Ferrara e crearono una
comunità forte ed organizzata nelle immediate vicinanze del “listone” (Piazza Trento e Trieste), nella zona delle attuali vie Mazzini, Vignatagliata e Vittoria. In via Mazzini, al n. 95, è ancora esistente la Sinagoga; l’edificio fu donato agli ebrei ferraresi nel 1485 da un ricco banchiere romano. La facciata dell’edificio si distingue dalle altre case circostanti per le lastre commemorative poste accanto all'ingresso. Nello storico fabbricato si trova il Museo Ebraico che custodisce oggetti liturgici, arredi settecenteschi e documenti a stampa con opere del celebre Isacco Lampronti, medico e teologo vissuto tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento.

Via delle Volte
Via delle Volte 
Via delle Volte è il tracciato di un viaggio nel passato medievale del capoluogo estense. Stretta e completamente ricoperta di ciottoli, è lunga circa 2 km, e corre parallela alla Via Carlo Mayr, orientata lungo l’asse nord-ovest e sud-est, come il poco distante Po di Volano. Il suo orientamento e la sua lunghezza hanno rappresentato un elemento fondamentale per lo sviluppo urbanistico della città medioevale, che tra i secoli VII e XI andò progressivamente formandosi partendo da Via delle Volte. 
L’intero tracciato viario è attraversato da innumerevoli volte, un tempo utilizzate come  attraversamento dai mercanti locali per passare dai magazzini, allineati sul lato meridionale, alle residenze private, talvolta utilizzate anche come botteghe. Per capire meglio il motivo di questa particolare disposizione urbanistica, occorre ricordare che, fino al 1152, il Po passava dove oggi corre via Carlo Mayr; in questo modo, i mercanti, dalle proprie residenze-botteghe, avevano accesso diretto ai magazzini e alle imbarcazioni sul fiume. 
Oltre ai magazzini e alle botteghe, in passato Via delle Volte era conosciuta per le case di tolleranza che vi si concentravano, e più in generale per essere sede di attività sulle quali, in una città per secoli governata dallo Stato Pontificio, non era opportuno attirare eccessiva pubblicità. 
Oggi Via delle Volte e le sue traverse sono ricche di locali, ristorantini e osterie dove gustare i piatti tipici della cucina ferrarese. Una passeggiata invernale lungo il suo tracciato, quando spesso la nebbia avvolge la città, regala emozioni magiche e scorci da cartolina.


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LA DEVOLUZIONE A FERRARA: LA FORTEZZA PONTIFICIA

veduta aerea del quartiere giardino nel secondo dopoguerra, si intravede tutta l area della fortezza pontificia  Il Rione Giardino so...